Luca Delle Site

Contemporaneamente, poesia d'autore

 

 

Piero

 

 

 

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Cap. I Cap. II Cap. III
 
   

II

 

 

Il muro dell’origlio

si spogliò poi

d’impronta lieta

e dei ragazzi.

Li sentì una mattina

parlare d’alta voce

in altra sponda,

grasso signore e fatiscente

in loro detto,

invaso in sol di sete per pecunia,

che poco lasciava

al sembrar natura d’uomo;

idrovora,

bocca diretta in odore di moneta,

ovunque scosta

e in quale veste.

Litigio in merito di strappo

per la sua bolla di sapone,

ed il campo ingiallito dal sole;

sentì l’uomo

rinfacciar con cattiveria

uno scorretto comportare,

fastidioso in termine di voce,

e volgarmente cacciar

di loro e razza tutti.

 

Ed al posto un giovane,

di pelle in vago

d’altro lido;

lo incontrava ogni mattina,

al portone del palazzo,

atteso al compagno di mestiere.

Tacita intesa,

con lui,

sguardi,

espressioni convincenti,

sincerità

puntura ad occhi entrambi

ed assonnati.

Pochi attimi,

di silenzio intriso

in emozione,

significato,

avvolti dal fresco stimolar

di brezze leggere e persistenti;

poi il distacco,

menti sollevati

ad urlar saluti

e profondi vuoti

d’assordanti parole,

le mani immerse

in un candido abbraccio.

E un dopo non diverso

riempiva l’attesa di un flusso

così puro e sincero,

mani a toccar la pelle

e non rigetto,

d’altro contatto

unico concesso.

Strano alone,

sensazioni,

impronta misconosciuta

in caratteristica di mente,

recondita

nel grigio del suo mondo;

trascinava con sè

riesumando leggerezza e verità

ad ogni passo sulla via;

ed ovunque

incontro di logico motivo

per continuo,

brivido in sogno,

e la follia

di quel contatto

in nuovo per assaggio

regalata.

La bolla di sapone,

inghiottir d’amara notte,

non stringeva più

istantanea d’inviluppo

e d’agonia.

Cominciava,

di solita ferocia

e restrizione,

per poi fermarsi

in minuta dimensione

ma costante;

e piano piano

il contenuto,

delineato a maggior fila

in limpido di bolla;

un uomo piccolo,

nudo,

immobile e costretto.

La bolla cominciò

d’impulso

in elastico sformare,

notte dopo notte

regrediva d’implosione,

espandendosi

veloce

ed inaudita.

 

Ma una mattina,

bolla d’attanaglio

quasi infranta,

si svegliò

in assalto al tono di finale;

di fretta

ancora

ad incontrar le mani

e senso di straniero,

in tregua notturna

realizzati.

Le scale,

in getto,

unico, altissimo scalino,

inciampando ad ogni passo

senza posa,

per brama

di elettrico suonar

di serratura.

Ma vuoto funereo

ed uniforme tono,

collassar di spasmo avuto

e dell’attesa;

le mani,

non erano,

la pelle assente,

uom disperso

e tal pensiero.

 

A lungo attese

al portone del palazzo,

attento

d’ogni piccolo rumore

ovunque provenuto;

ad esso

inutile

sedeva

in atrio di piastrelle,

a pianger

d’umile e pudore

la disperazione radicata

nel profondo.

Vane lacrime

e giornate

spese,

in fede di incontrar

liberatorio infranto;

e la bolla

nuovar

d’imperscrutabile

notturna,

inghiottire implosa ed inghiottirlo,

in fulmineo gorgo

e virulento.

 

Quell’uomo morto,

avrebbe poi saputo,

voce d’origlio

in nuovo per la stanza,

rigido,

abulico,

interesse quasi

ormai

perduto

in lacrima infelice,

da piastrelle d’atrio

ed i vestiti

assaporata;

giù di scale alla novella,

lo sguardo assente

in attenzion dispersa,

buio,

immerso nel sapore della notte

a filtrar

d’angusto lucernario.

Il portone,

schiocco a trasportar

di senso lungi

e disperato,

rinchiuso

delicato,

per riaprir di nuovo,

profondo sospiro ed occhi invessi,

al suono elettrico ed acuto

del lucido bottone.

 

Buia la strada,

d’incastro per cornice

nell’ingresso del palazzo;

e sola

luna,

tenue bagliore

indefinita

in fa respiro,

spicchieggiar d’esterno

alle scale

penetrato.

Respirava

Lui,

per la stessa luce

a illuminarlo dentro,

in ricordo

di mattine fredde

ed assonnato,

avvolte mani

d’un contatto

ver’intenso.

Matone la testa

al passamano,

a fissar d’intrinseco motìo

l’apertura al buio

dell’ingresso;

il pensiero impregnato

a spolvero di muro,

in effetto altisonante

d’ogni alito ventoso.

Lento, inerme,

fluttuava nel silenzio,

a levigar d’orecchio

il legno

in carezza di calore,

malinconico e ferito

in dita a sfioro

di calzoni.

 

Ancora

cielo

nello spicchio della porta,

cielo, luna,

e scale di palazzo

in risalita,

spalle al muro

e testa in appoggio di parete,

verniciato

argine

in trama di passione.

 

Rientrò la stanza

guerreggiando d’insolita bestemmia,

silenzio in tacita rivolta;

fra le mani

il cofanetto di radica invecchiata,

sinistro in mensola disposto.

Con cura ripulì

di nuova polvere

invadente,

soffiando

delicato

respiri caldi e vaporosi;

poi aprì

a porre d’oltre petalo seccato

una figura di giornale

raccolta all’incastro nel portone,

e di vento abbandonata

a tal destino.

Bicicletta,

triste imago

d’amputi

manubrio e ruota anteria,

dispersi

in altro lido

o alla deriva.

Triste imago

in tremito di mani,

profondo senso

a lungo amaro;

depose in raso scatolato,

di rassegnato aspetto

e consistenza;

socchiuse gli occhi

e con rammarico

scomparve il rosso vivo

del cofano d’interno;

il petalo e la bicicletta

rinchiusi con lui.

 

Nuovo

in abbandono

sul dondolo invecchiato,

polvere maligna in posa

ad ogni apatico frangente.

Ben più grossa

Polvere

e pesante,

d’or copriva

l’azzurro opaco

in tel consunta;

ossa

e pelle,

vesti fatiscenti

e scomparso vestito,

forse piega

in stessa stoffa;

intorno

silenzio,

smosso unico

per cigolio continuo,

lamentato peso

di polvere abbondante.

Dal muro

ancor parole

in dismesso tono,

e poi risate,

a penetrar d’intonaco

violento

ed esaustivo.

Allor martello,

ancor seduto

immobile

d’onesta dimensione;

picchiava

l’intonaco candido e rugoso,

reo

malgrado

d’eco irruenta

e dispettosa.

Peso

maledetto,

il martello scivolava

ad ogni colpo

di man sudate e indolenzite,

mosse di disprezzo

per tirannica violenza;

ma immobile sul dondolo,

tessute dita

d’intrigo atto

e dinamismo.

Il ferro martellava

feroce e continuo;

le mani immobili,

le mani sudate

a picchiare quel muro.

 

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