Luca Delle Site

Contemporaneamente, poesia d'autore

 

 

Piero

 

 

 

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II

 

 

Un caffè.

Mai basso abbastanza

per lotta giustifizio

col testone,

di Giovan nomignolo in famiglia.

Dotato in vero

da natura madre

per cranica e notevole capienza,

ma unico modo

in alcun forse

per trasmetter poi

pallidi affetti,

corrotto era,

e non il solo,

di comunico d’oltre limitato

al vaffanculo fra gli amici.

Grande famiglia

e bella in questo;

gioiosa, sincera, oltraggiosa:

fra uomini

d’unisono creduto ed ostentato.

Perchè sfuggire.

 

E reale il niente

ben concluso,

niente filtrar

dovuto mai

al di fuori della gabbia.

Non con la famiglia,

mio signore;

unico il posto

per dimenticar concesso,

tutto;

ridere, ridere;

ridere e basta,

a problema e angoscia

spazio e tempo altrunque

dedicati.

Lontano il vero.

 

Il Cecco arriva

adesso per un sempre

ripetuto,

carico in fardello

di occhi stanchi e rassegnati,

mani sporche di calcina,

Marlboro almeno

a non tradir le tasche.

Fermo,

sulla porta,

d’improvviso attratto

in strano o di speciale,

inusuale e misterioso

quasi in fascino  riempito,

viso, occhi,

espressione assunta.

Risa d’altre labbra,

e conati e smorfie trattenute

attorno,

sguardi a tonar di scoppio

insegna

e logico presagio.

Irresistibile l’effetto

in fragor allegro e derisorio,

facile scoreggia al culto

d’infedeli.

Attenzione infin scoperta

d’arcana macchina carpita,

nera,

rilento il moto e nervi

al bar davanti.

La bionda,

grido fier d’alcun motivo,

nota fantasia

d’irraggiungibile e playboy:

in certo

lì passata

a goder di fuori dubbio

in tua presenza.

E tu, Cecco,

cercar di tua

per tutti

convinzione.

 

Giorni d’abbondanza,

d’allegro spinta

ed impeto degli anni,

astinenza

ignota la parola!

Riesumi, rimpiangi,

tranquillità

momento

ed altro senso.

Incendia il tempo,

a lasciar favilla incura

e malinconia deprime

in gioia

e con fervore.

Adesso,

tranquilla ragazza

e buona

in sogno,

donar fiducia e affetto

ovunque inconquistati,

sbagliati i momenti e le persone.

Siedi Cecco,

solito giacere,

maligno sorriso sulle labbra

a vestir di consapevole

il peccato.

T’illudi,

inosservato.

 

Sigaretta,

imbarazzo,

lento ed esitante;

con squallida e nociva tosse

la saluti,

gli occhi fissi

in orda di pensier

confusi

o macchia, il tavolino.

Così la tua presenza,

richiesta

non partecipe;

non parole,

familiar decreto assunto;

niente,

importante;

se non d’acre

l’odor ed il giubbotto,

dote in guisa

a naturale.

 

E di pena mera

in fondo spinto,

a volte il semplice curioso

al verbo ti incitava

per assaporar di quale voce,

pur caldato nell’offesa

ed inquisendoti di tutto,

solitudine permeata,

in compagnia.

Per poi lasciarti in nuovo

scarso

perduto in occhi languidi e fissati,

d’attimo uno

sol passato.

E processi,

sommari intenti

a soluzione di mistero,

mummificazione abnorme

e non sottile.

Colpa d’altra anagrafe

bastarda,

rea di oppresso e troppo zelo:

troppo.

Conclusione,

mai d’appello successivo

contrariata,

nè parole a scomodar motivo

da nessuno.

Nota eppur

la sensazione e il vuoto,

io,

voce in tappo

e istinto tramortito,

pervaso a tratti,

a momenti;

or sano e tranquillo,

ora fuor di logica

in comune.

Triste destino,

profonda ferita,

sentir costante in vago,

estraneo di sincero

in slancio

ed oltre.

 

Staccò di colpo

trasportato da metallico rumore,

incontrastabile energia,

lontano,

a carpir di mente

ed interesse.

Breve sbandamento,

a chieder dei dintorni

e d’ombra d’uomo,

buio e vegeto

risposto,

incombente il vuoto

e privo in senso.

 

Di giro in giro

al tempo,

signore sconosciuto,

e d’abitudini tranquille,

acuto assente

e flessi oppure.

Se non di triste

fila d’auto

un giorno,

colonna di silenzio

immobile e paziente;

la strada in blocco,

attesa,

Ale mio

e l’altro e tutti.

 

Qual silenzio,

fila, fila,

noia e fumo

in nuvola costretti d’alma

e dimensione.

Nessun reazione,

d’arpion forzati

ed insolito pensiero;

lontan da buon augurio,

il tardo risalir

di gente in massa.

 

Accidente

logico il previsto

ad ostruir di carreggiata;

genti,

folle marciapiede,

disposte

tetro in capannello,

muto l’animo

a timor sentore

in tutti grave

di qualcosa.

 

“Vespa”

ti scorgo,

oscuro il nesso;

e polverosa scarpa,

cupa,

angustìo d’animo

profondo,

d’illogico destino

abbandonata,

ancor di testimone invinta

a normal vitalità

recente.

Violento incastro di sentir

e ferro,

impatto

abuso d’energie

patito,

vigile il timor

d’effetto noto.

 

Grave cadenza

chi parlò,

ed unico per tutti.

 

Pianto in occhi

consumati,

e vecchi ciondolanti

pallidi,

tremanti,

ad imprecar di grida sorde

e cielo maledetto.

Urla.

 

Urla dedite a sconfitta.

 

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