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Piero

 

 

 

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III

 

 

Sconcerto

dilaga sul mio volto,

dipinto del neon di quella luce

in corridoio d’umido ospedale.

Derelitto.

 

Nessuno,

forza

o di signor coraggio;

cammina il Cecco

su e giù,

padrone di un dolor

diverso almeno;

ed occhi

occhi in vuoto regalati,

fumar di sangue

rabbia

e bile.

Quindici anni.

 

Di colpa in colpo responsabili,

per gioia d’attimo negata,

o piacere d’un sorriso,

giorni addietro

stupida ingordigia!

Toccar di fiato vivo,

bimbo,

incapace in mente

or concezione,

parlare, ridere, scherzare.

Maurino.

Ripassi aggrappato ad un lettino

violento in bocce e tubi,

cannelli,

in rete a respir

di soffocato inconscio,

e viola in volto;

cannelli, boccioni

speranza irraggiungibile

di farsa,

dramma in atto primo

consapevole e tragedia,

intriso in sguardi

lucidi di turno.

Coma.

 

Urla padre

d’altra stanza udito,

permeato in polvere di uomo;

grande l’innocenza,

urla.

 

E profondo

madre, mio signore,

uscir veloce

e preda di miseria,

scontar d’ignoto fio

il senso e la ragione;

strazio forte in mani

testa, fianchi,

testa ancora,

frenetica pazzia

di piena in foce.

 

Ti guardo

Mamma,

attonito ed immobile,

al delirio costretta

per degenere disgrazia;

gioioso il litigar

e grida,

schiaffo in crisma di final evento

or bello

e concepito.

 

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