V
Lente ore al passo,
in distillata cura
a risma d’emozione.
Ricordi in meraviglia,
ed il succeder
strano
ad alleviar pensiero d’individuo,
attenzion e cuor
carpiti
in turbinio di immagine
violenta.
Mistero in fondo
il personal motivo d’un esistere,
e banale rimembrar
ed ovvio;
e lontano il risuonar
di vaga eco
oscura,
le mani,
il naso gonfio e trasformato,
leggera distrazion
sembianza avuta,
in fiducioso atteggiar dissacratorio
di convinto.
Silenzio.
Ed ormai, signore,
di pianto liberato
impello dal profondo,
d’urlo sovrastato
in un vagito;
lume
in mente accesa
riesumo di salma,
pianto,
immensa fatica
in vuoto
dopo,
ma libero sentire.
Agitato,
d’irrequieto incorso
ed implacabile,
assorbo il mondo
riesumato,
infido calcar di scene
smesse.
Donne ascolto,
il viso agli scalini
e lì seduti;
o in volta a sguardo alzato,
dimentico per ardua situazione
d’imbarazzo,
presenza erronea e compagnia.
Gli occhi di,
quelli di,
o chiunque altra,
e subito
a tornar di viso chino,
bianco il marmo
agli scalini,
travolto da vergogna irresistita
in coscienza rifiutata.
E rispondo sbruffi
ad alito di parte
per vago risucchiar in discussione,
od al gioco,
faccia sempre
rivolta per gradini.
E sassi raccolti,
attratto e lor curiosi;
pulirli,
rotear in giostra
rumorosi
a rassicurar
fra dita l’emozione.
E voci
femminili,
nuove e graziose
ad attorniare di presenza
gioiosità di corpi
esibita
e la violenza.
Ancora,
d’accuso vittima ed ingiusto
ritrovo il perso voto alla mestizia,
colto in reo di nulla
ma colposo.
I pugni sferro
in difficile difesa
per ferite ad altro limitar
e non me stesso.
E non colpire,
bisogno d’altro d’esploder
concepito,
ma annientar di me
risposte
per merito di sbotto conferire.
Catastrofe,
angoscia e tormento
ancor in più.
Eppure fu,
di volta,
idiozia
altrui.
Altrui
l’Andrea di fuori porta andato,
fratello
cieco in cuore
e forte.
Silenzio.
Fratello, mio signore,
permeato spasmodico
in bisogno
di liberar coscienza e peso,
eccitato
in limite di poter
inviperito;
le sue mani tremar,
orrendo,
in scossa corse
d’insostenibile potenza.
Parlo,
ma tremor con bava alla sua bocca,
in sputo
comprensione
e sol saliva.
La pineta,
la pineta,
alcuna forza
nè morale,
occhi chiusi,
io.
Io.
Passerà, signore,
dimenticar potrò
di fretta
il gesto e l’impressione,
sangue mio pur contro
in te, fratello.
Odio in occhi
adesso,
Andrea,
piangendo a rotta;
minaccia,
fuoco, fuoco, fuoco!
Oh signore,
orrore disgustar le ossa
nelle spoglie d’un urlo disumano,
ed insieme
inghiottir il buio
per invader di passato,
futuro,
ogn’altra dimensione.
Guarda, mio signore,
sconvolto e delirante
un dolor
che spazza e la follia;
maledico il nato,
ieri,
e il non fuggito,
mai neppur voluto.
Guarda,
Andrea,
mio signore,
l’ultima volta:
lo stomaco di man pressato,
la mia bocca spalancata,
il mio occhio a sanguinar di senno
ed i pensieri;
acre odore
di tessuto e brace.
Sento, mio signore,
la serpe rivoltare il dentro,
mordere parola
a quello sguardo.
Eppure fu,
di volta,
idiozia altrui.
Guarda, mio signore;
guarda;
Senza capir altro
scappo via.
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