VI
Fredda roccia ed inospitale,
di bimbo in pianto
sovrastata,
lì,
improvviso contorno
all’angosciar di quel momento;
Andrea,
in singhiozzo udito,
perchè, perchè,
mani in tremito d’allora,
di più,
cuore in pianto
a mal subito,
e mondo ormai perduto.
Si svegliò di sonno breve ma profondo,
urtato soave
in sole
all’orizzonte;
patite forme
di fondo scavo in viso,
per piccoli sassi e minuti eterni,
pagliccio terren
di pelle schiava
appiccicato.
Sospirò
in cerca attorno
di motivo
per alzar le membra
a scopo.
Solo;
atroci ore ed insolenti,
in perlustrar di posto
e rimembranze;
verde collinetta
immersa in un torpore
al tono d’artificio,
bagliore d’alba
a vestire di superbia.
Pochi alberi,
radi cespugli
non alti e folti,
e tutto intorno
vago linear
di valle in nebbia
mattutino.
E d’impeto la roccia
ergeva
in mare verde per terreno;
tozza forma,
possente,
granitico sembrar
di sfera in getto,
vigorosa mano,
ed assoluto stonar
di paesaggio in circolo
pensato.
Altro masso
intorno,
erba e cespugli
in solo,
a recidere uniforme
linee di natura
costruite.
Si arrampicò sulla roccia,
inarrivabile poem d’altura,
e poi in piedi,
in meglio a scruto
il contornar di spicchio
ed umido
danzanti,
gli occhi immersi
nel fresco nebbieggiar
a confonder di grigiore.
Nebbia,
ad orizzonte strappar di suo profilo,
vaporosa coltre
e dominante,
pur di raggio pallido
filtrata.
E d’uomo,
nessun segno.
Sbadigliò di gusto,
a stropicciar d’amare labbra
e rattrappite,
sonno in dolo
ad ogni pelle;
poi diresse verso cose
intraviste,
pare,
di lontano.
Lontano,
confuse e scoste dalla nebbia
che ancor non diradava
all’orizzonte.
Si voltò,
a sconfigger di guerriero infausto
per trascorso,
ma non altro
vide che piccolo collinar
in verde ricoperto,
di sommità imperante
e maestosa,
strana roccia e tonda,
con sembianze inconsistenti
d’illogico disposte.
Sbattè gli occhi
a liberar
finale
d’ultimo torpore,
e con fare tranquillo
s'incammino' per casa.
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